giovedì 30 dicembre 2021

La storia dell'amaca a Valencia

 

La storia dell’amaca a Valencia





 

16 Agosto: torno dalla Romania e senza uscire dall’aeroporto prendo un aereo per la Spagna, con lo zaino in spalla e un’amaca, all’avventura, senza sapere dove andare o dormire.

Arrivato, raggiungo un amico, ma dopo alcuni giorni insieme è chiaro che lui cerca le feste e se ne va a Murcia, io le avventure e rimango a Valencia.

            Il giorno che ci dividiamo, fatto il check-out all’ostello di prima mattina, non riesco a trovarne un altro, e colgo l’occasione per cercare un monastero che mi ospiti per la notte (da anni nutrivo questo desiderio).

Chiedo nella prima chiesa, e mi rimandano da una all’altra, fino a che mi ritrovo a bussare all’Arcivescovato di Valencia. Aperte le massicce porte, il custode mi dice di tornare l’indomani, ma per me era troppo tardi. Allora cerco in internet, e nel tardo pomeriggio trovo qualcuno che forse conosce un posto, e può aiutarmi a contattarlo.

 

Charlie, fisioterapista mingherlino sulla cinquantina, mi accoglie in casa sua e insieme telefoniamo a tutti i monasteri della provincia, ma nessuno ha un posto libero per settimane, e il mio sogno sfuma ancora.

Di fronte a un nuovo cambio di piani, decido di spendere qualche giorno di solitario riposo con la mia amaca. Charlie si offre di accompagnarmi il giorno dopo in un bosco vicino, intanto posso dormire da lui. Vive da solo ed è di una premura speciale: cucina per me, mi lava i vestiti, mi insegna a fare la paella Valenciana.

Tre giorni dopo, lo odio. Continua a rimandare la partenza, e la sua esagerata cordialità è diventata un tremendo assillo. Hai fame? vuoi mangiare? hai sete? senti caldo? tutto bene? ti accompagno a fare un giro? vuoi sapere come mangiamo le arance qui? Inoltre, dopo aver notato la foto della defunta madre come sfondo del suo cellulare, sento crescere un senso di inquietudine.

Anche quando finalmente partiamo, per tutto il viaggio in auto continua: ma sei sicuro di andare? vuoi che rimanga con te? hai da mangiare? hai controllato il meteo? non hai paura? perché vuoi stare da solo? Io lo liquido infastidito, anche se una di queste domande avrei fatto meglio ad ascoltarla.

Arrivati all’ingresso di questo immenso parco naturale, con alberi e vegetazione stepposa da un lato e scogliera dall’altro, insiste nell’accompagnarmi per un’ora di cammino (vuoi che ti porti lo zaino?), prima di andarsene. Solo, tiro finalmente un sospiro di sollievo, quando lo vedo tornare sui suoi passi.

Hai dimenticato l’acqua!

 

Si sta già facendo buio: lego l’amaca tra due alberi e mi stendo. Non ho mai dormito fuori da solo prima. Cerco di ignorare i rumori intorno a me, come di qualcosa che smuove il terreno, ho troppa paura per controllare, in alto sono al sicuro, ormai è buio pesto, non c’è nessuno per chilometri e chilometri, chiudo gli occhi e mi addormento…

A mezzanotte mi sveglio, improvvisamente. Sta piovendo. L’amaca si riempie d’acqua.

 

Cazzo. Non avevo controllato le previsioni meteo.

Che faccio? Non posso restare, e il cellulare non prende. È tutto nero, in mezzo ai rami. Mi copro con un asciugamano e vado verso la strada, lasciando tutto lì. Non so dove andare, prendo una direzione a caso e inizio a camminare.

Dopo non molto, vedo dei fari in lontananza: un’auto! Ma quando si avvicina, si scopre essere due biciclette: spiego loro la situazione, che non so cosa fare e mi sto bagnando tutto. Anche io mi sto bagnando mi risponde uno, e se ne vanno. Intanto esce la luna, continuo a camminare.

Poco dopo vedo le luci rosse e blu della polizia. Ottimo, loro mi possono aiutare. Mi spiegano che possono caricare in auto solo detenuti, si rifiutano di arrestarmi e se ne vanno. I vestiti stanno cominciando a inzupparsi, ma continuo.

Dietro una svolta, vedo un capannello di persone in piedi sull’orlo di un dirupo, completamente al buio, accanto una macchina. Non sono nella condizione di farmi domande, chiedo aiuto, ma la risposta della signora mi terrorizza:

Je ne parle pas espagnol.

Vani i tentativi di comunicare in qualsiasi altra lingua. Perdo le speranze e continuo.

L’auto della polizia sta tornando indietro. Probabilmente spinti dalla pena, mi fanno salire, ma non devo fare rumore. Mi lasciano (infinitamente grato) di fronte a un hotel, nella città vicina di Peñiscola. È finita, penso.

 

            Ma il sollievo dura poco, perché l’hotel è pieno. È un lunedì sera, mi rassicuro, ne troverò sicuramente un altro. Ma mi si palesa presto, e in questa infelice serie di eventi lo accetto con tranquilla rassegnazione, che non c’è nemmeno un letto libero in tutta la città.

            Sono ormai le due, e avendo smesso di piovere decido di coricarmi qualche ora sulla spiaggia. Trovo un angolo adatto, dove posso finalmente riposare. Venti minuti dopo, ricomincia a piovere.

            Quasi divertito, riprendo il vagabondaggio nella città (a questo punto le mie aspettative sono molto basse). Il meglio che trovo per ripararmi è il gazebo di plastica di un ristorante: metto tre sedie in fila e mi sdraio lì fino al mattino.

            Mi alzo all’alba, tutto indolenzito, con 26 punture di zanzara nella metà superiore del viso. Con due ore di cammino recupero l’amaca e lo zaino; al ritorno faccio l’autostop e una giovane coppia mi riaccompagna in macchina a Peñiscola. Mentre gli racconto la mia storia, li vedo ascoltare preoccupati.

Ma tu sei andato a dormire nel bosco? Non si può dormire là, è troppo pericoloso, è pieno di cinghiali!

           

            Così si è conclusa l’avventura: ho preso un bus per Zaragoza, dove ho passato gli ultimi 4 giorni prima di rientrare prematuramente, ancora un po’ scosso da quella lunga nottata.

La prossima volta mi organizzo.

giovedì 11 novembre 2021

Labasianesimo

 LABASIANESIMO

Cos’è il Labasianesimo?

Il Labasianiesimo è una corrente di pensiero sviluppata tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, in piena quarantena, da me e Giova chiusi in un ufficio. È stata molto influenzata dalle nostre esperienze e inclinazioni personali, dallo stoicismo (Seneca in particolare), dalla filosofia orientale, da Dale Carnegie, Alan Watts e Kaczynski.

Come è iniziato?

Il covid aveva bloccato il mondo, io avevo lasciato l’appartamento a Bologna per tornare a Castelbellino, ma quella casa mi stava stretta. Mi ricordai presto che c’era un piccolo ufficio, accanto a quello di mio padre, che non utilizzava nessuno: una sola stanza spaziosa con delle scrivanie al centro, un divano e una piccola cucinetta a muro. Per tutta la quarantena, da novembre 2020 a febbraio 2021, quel posto fu la mia casa. La nostra casa in realtà.

Il padre di Giova aveva un ufficio nell’edificio a fianco, ci vedevamo dalla finestra. Anche lui ogni tanto andava a studiare là. Avrebbe dovuto iniziare la magistrale in Germania ma era bloccato qua anche lui, per la prima in anni eravamo nella stessa città.

Da allora, tutti i giorni dal lunedì al sabato, ci trovavamo lì. C’era tutto quello che potesse mai servire: studiavamo lì, lavoravamo, ci cucinavamo il pranzo e il sabato sera ci proiettavamo i film sul muro. E ogni tanto alzavamo la testa, ci guardavamo e interrompevamo quello che stavamo facendo per discutere del mondo e il resto, per delle ore. Il mondo stava attraversando un momento terribile, ma per me è stato il periodo più bello della vita.

E in questa atmosfera stimolante, con il nostro continuo scambio di idee e sperimentazioni, alla fine siamo arrivati a convergere su una visione condivisa della vita, una serie di principi sul giuoco, come lo chiamavamo, e su come giocarlo. L’abbiamo chiamato “Labasianesimo” perché eravamo soliti chiamare l’ufficio “La Base”. Sono stati mesi di intense riflessioni (e qualche breakdown mentale) riguardo come il tutto dovesse funzionare e come utilizzare queste conoscenze per vivere meglio. Perché quando uno ha capito il giuoco

I principi

Proverò a spiegare di seguito il Labasianesimo attraverso l’analisi dei suoi principi fondamentali, con un minimo di contesto e le loro implementazioni pratiche, così come li abbiamo sviluppati durante quel periodo.

1)     La rinuncia 

L’estate precedente avevo fatto un viaggio in Sicilia che mi aveva cambiato molto. Da solo con lo zaino, senza sapere nemmeno dove avrei dormito. Un’avventura di questo tipo è per necessità profondamente scomoda e stressante. Ma così intensa che una volta tornato, presi tutte le singole cose che avevo trovato più scomode nel mio viaggio e, ad una ad una, le integrai nella mia normalità, come preparazione al prossimo viaggio. Rimossi tutto il non necessario e iniziai a fare le cose nel modo più scomodo possibile, e col tempo non potei che notare come la scomodità scompariva.

Giova allo stesso modo era da sempre un grande rinunciatore: tutto il superfluo è in eccesso. Una volta mi disse “Non compro un giubbetto invernale perché a casa è caldo, in biblioteca dove studio è caldo, e la distanza sono solo 5 minuti”.

Iniziammo a implementare questi principi nella Base: la semplificazione, la rimozione di tutto il possibile, l’abitudine alla scomodità. Mettevamo in dubbio la necessità di ogni cosa, e se si poteva rendere più scomoda lo facevamo.
A partire dalla cucina, dove tutto era organizzato perché il minor numero di ingredienti fornisse la massima gamma di possibilità. Pulivamo sempre con i metodi più arcaici, l’aspirapolvere era un lusso eccessivo. Entrambi iniziammo a farci solo docce fredde, e ne riscontrammo forti miglioramenti nell’umore. Cominciammo anche e soprattutto a fare a meno della tecnologia. Nel periodo più intenso di sperimentazione, tenevo il cellulare spento per almeno 18 ore consecutive al giorno e utilizzavo le candele per l’illuminazione notturna.

Abituandoci al minimo, tutto il resto risultava migliorato, per comparazione. E personalmente ogni cosa che toglievo, mi sentivo più libero e felice, di una felicità interiore e nuova. Molto di quello che facciamo in generale può essere semplificato, per ottimizzare tempo e risorse limitate. La comodità non è una di queste, più ne hai e più ne desideri, non ha un limite e non si soddisfa. Il tempo, i soldi, l’attenzione invece sì: il cuore di questo principio è scambiare queste ultime con la fatica e la scomodità, che non si esauriscono e una volta abituativisi non vengono nemmeno più percepite. Da allora la comodità non è più una variabile nelle mie decisioni.


2)    La P non la metti nel sacco

Per non snaturare questo principio sarò onesto: è nato parlando di ragazze. Giova era continuamente preoccupato per qualche questione amorosa, e una volta gli dissi di tranquillizzarsi, che tanto la P (sineddoche per le ragazze) non le poteva mettere nel sacco. Non letteralmente.
Il sacco è inteso come bagaglio personale: quello che ti porti dietro quando la vita va avanti. Pensare di riempire il sacco significa accumulare così tanto oggi di una cosa che ne avrai da portartene dietro per il futuro. Significa cercare di soddisfare un bisogno così a fondo da saziarlo per sempre. Ma non c’è una quantità di ragazze oggi che ti faccia mettere il cuore in pace per il resto della vita.
E il concetto si allarga a qualsiasi cosa. Non puoi mettere nemmeno la felicità nel sacco, ad esempio. Non importa quanto sei felice oggi, o depresso, domani è un giorno diverso: se c’è un sacco, dev’essere bucato. Questa sera il sacco si svuota e domani si ricomincia da capo.
Pertanto, non serve correre: basta riempire il tuo sacco quel tanto che basta per oggi, che il di più è sprecato. Non ha senso affannarsi per cercare di risolvere oggi tutti i problemi del futuro, ci sono equilibri che non possono essere sistemati una volta per tutte, ma necessitano di impegno quotidiano. E una volta che limiti le tue preoccupazioni ad oggi, non sono mai così grandi come sembravano. Dale Carnegie parlava di vivere in compartimenti stagni di 24 ore, e ad oggi è il consiglio più utile che ho mai ricevuto.

3)    La vita è facile

In quel periodo passavo molto tempo con mia nonna, la guardavo cucinare e le chiedevo consigli per imparare. Sotto le mie domande incalzanti, presto mi resi conto che era un’arte molto meno precisa di quanto credessi: le sue ricette erano piene di approssimazioni, movimenti grossolani, procedure dogmatiche.
 Giova aveva sempre detto di non dedicarsi alla cucina perché secondo lui era una cosa così facile che avrebbe potuto imparare in qualsiasi momento. Dovevamo a questo punto per forza mettere questa teoria alla prova.

Abbiamo iniziato a cucinare ogni giorno, ricette sempre più complicate: continuavano a venire sempre bene, non importava cosa sbagliassimo o quanto tempo stesse sul fuoco. Un giorno esasperati ci siamo detti: “mettiamo insieme gli ingredienti più strani che ci vengono in mente e vediamo se almeno così viene male”. Risotto con carote, uova crude e formaggio: non c’era nessuna possibilità che potesse essere mangiabile. Senza nemmeno seguire una ricetta, perché non ne esistevano.
Ebbene: fu il risotto migliore che avessimo mai mangiato. Eravamo esterrefatti ed euforici insieme per questa nuova scoperta.
Era stata bravura? Neanche lontanamente. A quanto pare, in cucina, una volta appresi i concetti di base, la gran parte del lavoro l’hai già fatto. Il risultato risulta come una gaussiana, con la ricetta giusta nella media: è incredibilmente difficile finire in una coda.

Scoprimmo che questa medesima facilità è valida per molti altri ambiti, e arrivammo in fine a dire che la vita stessa, fosse facile.
Per definizione qualcosa che devono saper fare tutti non può essere difficile, la società si è sviluppata intorno a questo. Tutto quello che è necessario, deve essere facile, e quello che è difficile non può essere necessario. Non è un invito a non impegnarsi, ma una rassicurazione che quello che saremo tenuti a fare, saremo in grado di farlo. Non c’è errore che non si corregga, o problema che non si risolva. Basta guardare ai problemi con leggerezza per vederli già sgonfiare. È una cosa che cerco di ricordarmi spesso, perché è facile essere tratti in inganno. La vita è facile.


4)    Non confrontare

Questo principio del Labasianesimo lo dobbiamo esclusivamente a Giova, che in quel periodo stava leggendo Alan Watts e non si tratteneva dal citarlo infinite volte al giorno. Non ho ancora letto il libro così importante per il nostro pensiero, per cui sarò necessariamente breve. Sembra che giri intorno al concetto ricorrente di non confrontare: non confrontare te stesso con gli altri, non confrontare quello che hai con quello che potresti avere, non confrontare la realtà con scenari immaginari. Concentrati solo sul qui e ora e non guardare altrove. E in questo modo sarai sempre sereno.

 

5)    La vita come una partita a scacchi


Durante il periodo della base abbiamo iniziato a giocare a scacchi (come tutto il mondo) dopo aver visto The Queen’s Gambit. Leggevamo un libro di teoria scacchistica e giocavamo quasi ogni giorno.
È durato alcuni mesi, poi non li abbiamo più toccati. Ma quello che ci è rimasto è un principio della teoria elementare degli scacchi, come riportato dal libro su cui studiavamo: non devi avere tutta la strategia in mente all’inizio della partita, fai semplicemente le mosse che ti aprono più possibilità e le tattiche si mostreranno a te da sole.
Ecco, penso che la vita anche debba essere vissuta così: senza cercare di sapere dove saremo tra 10 anni, perché non è il momento giusto per deciderlo (se mai si può dire di deciderlo), ma piuttosto concentrandosi nell’aprire il maggior numero di strade possibili oggi. Richiama in parte il principio 2, invita a focalizzarsi su quello che possiamo cambiare adesso e a lasciare andare la falsa speranza di controllare il futuro.

lunedì 1 marzo 2021

Produzione dell'orientamento universitario Davincimeme

 Orientamento universitario Davincimeme

Benvenuti in un nuovo articolo, io sono Lorenzo Cacciamani e oggi vi parlerò di produzione video!

Questo è come inizierei se questo fosse un video per Youtube. In questo articolo vi descriverò la mia esperienza di produzione e montaggio video, e in particolare parleremo del mio più grande progetto: l’orientamento universitario Davincimeme.

 

Breve storia della produzione video nella mia vita

Registro e monto video almeno da quando avevo 13 anni: mi piaceva registrare con il mio iPod touch da quando ce l’ho avuto, e mettevo insieme le clip con Movie Maker.

Alcuni dei miei primi video sono tuttora su Youtube, principalmente perché non so come cancellarli. Ecco qua il mio vecchio canale (notare il link): https://www.youtube.com/user/LoryPotterTheBest/featured


È possibile, se ve la sentite di aprirlo, trovarci una serie di video. Quattro risalgono a quando dovevo avere circa 11/12 anni e mi divertivo con il mio primo smartphone. Altri cinque sono di produzione più recente, avevo 13/14 anni, ed è facile notare la mano più esperta. Il mio video migliore “Coca-Cola e Mentos: noi ci abbiamo provato -Furiet”, nonché il capostipite della mia produzione cinematografica, apre con un monologo accattivante: 

Un frame di questo capolavoro

“Abbiamo appena comprato una bottiglia di Coca-Cola e queste Mentos. Ora: noi potremmo mangiare le Mentos, bere la Coca-Cola, e vivere una lunga e spensierata vita felice. Ma non è quello che faremo. Noi oggi metteremo le Mentos nella Coca-Cola, e sta a voi vedere cosa accadrà"

 


 

Conclamata anche la serie che consta di due parti “Cosa non dovresti fare con i GAVETTONI”, dove si intermezzano prove di prestanza fisica e coraggio morale in una battaglia contro i valori di quest’epoca.

Un pezzo a sé invece “Trappola DAI FILM con pentola”, visione assolutamente consigliata.

Il video sicuramente più importante della mia infanzia è “Una giornata al parco” (https://youtu.be/AZ8DAaRrt6I), girato sempre con mio cugino. Questo è stato il primo con una certa ricercatezza di montaggio. Avevo 14 anni.

Andando più avanti, non posso non citare il “PPAP” (https://youtu.be/coI_tgmAd80), una tra le mie produzioni più inutilmente complicata ma ancora molto divertente, risale al 2016. Sarebbe stato un semplice video con più inquadrature, ma io avevo solo una videocamera e per registrarlo l’ho spostata ogni volta, anche per le inquadrature che si ripetevano, ricalcando il video originale. Ci misi un’infinità di tempo e alla fine non riuscii nemmeno a far combaciare l’audio.

Un frame del PPAP

Dopo questo grande successo mediatico appesi la videocamera al chiodo per qualche anno, fino al 2019, in cui decisi di rimboccarmi le maniche e imparare finalmente a usare un vero programma di video montaggio, e la scelta cadde su Adobe Premiere Pro. Iniziai a montare di tutto per fare pratica, e finiti gli esami dedicai una decina di giorni a studiarlo. Casualmente poco dopo trovai qualcuno che aveva bisogno di montaggi, e dal gennaio 2020 monto video per una società di investimenti in borsa.

Nel luglio 2020 ho fatto l’esperienza di WOOFing in Germania, e mi sono portato la mia nuova GoPro (arrivata poche ore prima della partenza). La sera avevo molto tempo libero (il cellulare non prendeva) quindi per passare il tempo ho iniziato a riprendere quello che facevo e poi montarlo in dei brevi video che mandavo alla famiglia e agli amici. Tornato a casa avevo accumulato 6 video di questo tipo, e ho pensato sarebbe stato carino farne una serie: https://youtube.com/playlist?list=PL6FaWgDdRqXDhwpNxAm5LX6W6Hgq_LuQc

Successivamente ho rimontato questi video in una versione più corta in cui spiego cosa ho fatto, questo è anche l’unico mio video pubblico sulla piattaforma: https://youtu.be/xfAjh77Bxlo

Per arrivare a conclusione, anche nell’altro viaggio di quest’estate (in Sicilia), ho fatto un sacco di video che non ho ancora finito di montare, ma per ora c’è la parte di vacanza che ho fatto con i miei amici che gli ho messo in un cofanetto per natale: https://drive.google.com/file/d/1rtuld89EerRIvrIrotCOvfo9rL5Proce/view?usp=sharing

Questo ci porta al giorno d’oggi, e forse può spiegare al lettore più curioso come ho acquisito le conoscenze tecniche per produrre questo orientamento universitario (che al momento in cui scrivo è tutt’altro che prodotto). Per la prima volta mi trovo a lavorare con due videocamere contemporaneamente, e due microfoni: ovvero un totale di due tracce vide e sei tracce audio, ma ne parleremo più in dettaglio dopo.

 


Orientamento universitario Davincimeme

Dopo la non-tanto-breve introduzione, possiamo dedicarci al progetto in questione.

Dopo il rientro a Jesi di qualche mese fa dovuto alla pandemia, mi sono ricordato di questo piccolo ufficio che mio padre non usa, e in breve tempo mi ci sono insediato insieme a Giova, che dopo più di due mesi ora si sta prendendo una pausa. “La Base” è come lo chiamiamo. E dato un ufficio intero, con un divano, non poteva passare troppo tempo prima che qualche idea assurda si palesasse a me. Giriamo dei video. E avendo Davincimeme quale grande canale che gestisco, ho pensato subito a qualcosa nell’ambito scolastico. All’inizio a interviste ai professori (mi immaginavo solo Pergolini seduto sul mio divano), ma era difficile da realizzare. L’orientamento universitario, perché no, poteva essere un contenuto molto utile agli studenti. Per me sarebbe stato anche un modo per sviluppare competenze

Spider-man, la mascotte della Base

nella produzione video, nel montaggio e nella gestione di un’intervista, oltre che una grande esperienza e possibilità di conoscere persone appartenenti a ambiti completamente diversi tra loro. E magari era anche la volta buona che mi chiarivo un po’ le idee sul mondo universitario, sul quale, detto sinceramente, ancora non ci capisco niente.
Ho cercato su Youtube “Orientamento universitario” per ispirarmi e, grande sorpresa, non c’era niente di serio a riguardo. E lì mi son detto < Beh, è andata, si fa un orientamento cazzuto >.

Taccuino alla mano, gli obiettivi fondamentali del progetto erano: chiarire tutti i dubbi e perplessità sul mondo dell’università per favorire una scelta consapevole, tramite esempi reali di ex-studenti, e allo stesso tempo portare contenuti di alta qualità per dimostrare la professionalità di Davincimeme e espandere la nostra area di competenza. Quello su cui volevo puntare era quindi un assoluta qualità audio/video (date l'attrezzatura disponibile), un punto di vista che era quello dello studente e un’attualità dei video che mi permettesse di utilizzarli ogni anno e anche su altre piattaforme.

Sono previste due versioni di ogni video:

Una per Youtube che comprende l’intervista completa ed entrambe le inquadrature. Ci sono per cui io che presento l’ospite, gli faccio le domande e a volte commento anche. La durata prevista era di 12/15 minuti, ma quelle montate fino ad ora stanno venendo molto più lunghe. Sono pensate per chi è veramente veramente interessato in una materia e quindi disposto a vedersi un video più lungo per avere tutte le informazioni possibili.

Una per Instagram, con solo l’inquadratura sull’ospite. Il montaggio è molto più invadente e lascia solo passare i messaggi chiave, con un ritmo veloce e battente. È pensato proprio per il pubblico di Instagram, con una soglia dell’attenzione più bassa, e per portarlo come contenuto fruibile da tutti. Breve, conciso e interessante, plausibile la visione anche da chi non deve scegliere l’università. La durata prevista è intorno i 3/4 minuti, e anche con il montaggio ci sto riuscendo.

 

Produzione

I primi giorni li ho passati informandomi su cosa già esisteva e consumando tutto il materiale che ho trovato sull’orientamento universitario, poi a riflettere su come sviluppare questa idea. Ho iniziato infine a mettere insieme la scena: per capire dove posizionare il divano c’è voluta un’eternità, per questioni di sfondo, scena, illuminazione e camere. Ho fregato una pianta a Nonna (P.S. mi ha detto che si chiama tronchetto della felicità e mi fa un sacco ridere questa cosa). Ho preso qualsiasi oggetto interessante riuscissi a trovare e ho spostato tutto cento volte, fatto decine di prove per la luce e le inquadrature a tutte le ore del giorno, facendo sedere e spostare in continuazione Giova o Alto a seconda di chi mi capitava sottomano. Per questa parte e la realizzazione del set-up ho impiegato due settimane.

L'evoluzione dell'inquadratura nel tempo


Setup

Il setup finale risulta così:

Video

Dopo altre infinite prove ho deciso per due inquadrature: la Nikon D-800 come principale che inquadra l’intervistato di tre quarti a distanza ravvicinata, e la gopro Hero 8 che abbraccia tutta la stanza e mostra sia me che l’intervistato. Gran parte dei problemi erano dovuti al fatto che volevo girare le due versioni diverse insieme, quindi sia una versione con me che facevo le domande sia una senza di me.

Audio

Ho comprato due microfoni con la clip, pagati poco ma che fanno un audio pazzesco. Microfono da distanza montato sulla videocamera per sicurezza.

Illuminazione

Mi sarebbero serviti dei soft-box professionali per creare un’illuminazione artificiale stabile che mi permettesse di non dipendere dal tempo atmosferico, ma essendo tutto realizzato in super low-budget, ho dovuto concludere che l’unico momento in cui era soddisfacente girare con la luce del sole era tra le 9 e le 11, e le ho girate tutte così. Unico aiuto: una semplice lampada da scrivania, con un fazzoletto scotchato sopra per diffondere la luce che la fa surriscaldare tantissimo, e ogni volta che la uso minaccia di fondersi.

 

Persone

Sistemato tutto e stabilito come si sarebbe svolta l’intervista, con tanta pazienza da parte di Giova come cavia, abbiamo girato il primo episodio (due volte). Solo dopo averlo montato ed avere avuto il prodotto finito, ho iniziato a cercare persone da intervistare, annunciando il progetto. Far venire delle persone nel mio ufficio non è una cosa semplice, era importante dimostrare di essere chiaro e concreto e fornire un esempio. Tramite Facebook, Instagram e giri di conoscenze sono riuscito a mettere insieme una decina di persone valide, laureate e disponibili. I giorni passati al cellulare a parlare con tutta questa gente sono stati i più stressanti di tutti.

Ho fissato appuntamenti per tutto il mese di Febbraio, ma molti mi potevano comunicare solo all’ultimo i loro spostamenti e mi avvertivano due giorni prima. Metà degli episodi li ho girati nel week-end. A parte questo la routine è semplice: ci accordiamo su una data, qualche giorno prima gli mando la lista di domande che gli farò e l’indirizzo e decidiamo insieme di che argomento libero vuole parlare. Il giorno della ripresa li faccio accomodare, mi faccio raccontare un po’ cosa fanno e gli faccio firmare una liberatoria. Poi gli spiego come andrà l’intervista e li faccio sedere, li microfono e aggiunto le inquadrature, due consigli su dove guardare e ciak si gira!

Ho deciso di fermare la produzione a 8 episodi per ragioni di tempo e segue l'elenco degli intervistati in ordine cronologico:

  1. Alessandro Giovagnoli x Fisica a Padova
  2. Alessandro Cerioni x Ingegneria fisica al Polimi
  3. Marco Bracaccini x Matematica a Camerino
  4. Ylenia Fratoni x Architettura a Ferrara
  5. Giulia Pistola x Lettere moderne a Urbino
  6. Gloria Torelli x Mediazione linguistica a Forlì
  7. Filippo Nicolini x Biologia a Bologna
  8. Carlo Pompignoli x Medicia all'Univpm

Intervista

L’intervista in se si svolge così. Se non siete venuti a farvi intervistare dal sottoscritto, potete leggere qui sotto e immaginarvi di esserci voi seduti sul salottino di Barbara D’Urso dei poveri. Questa battuta me l’ha fatta una ragazza intervistata, non è mia.

Il copione è molto semplice:

1.      Introduzione persona, percorso di studi

2.      Domande (Vedi lista domande)

3.      Illustrazione di un concetto alla lavagna (o al divano)

4.      Saluti, ringraziamenti e contatti

Inizio con le domande classiche per cercare poi di far proseguire naturalmente la conversazione, e solo alla fine controllo se ci sono ancora argomenti che non abbiamo toccato, per cercare di rendere i toni rilassati. Anche per questo dico loro di guardare me e ignorare la videocamera. Nella puntata girata con Giova lui guardava me quando facevo le domande, e poi in camera quando rispondeva, che sarebbe le situazione ottimale, ma avevo paura che chiedere una cosa del genere ad altri potesse forzare troppo la conversazione e renderli più tesi. Per farsi un’idea della differenza, provate a confrontare ingegneria fisica e mediazione linguistica.

Lista domande:

  • Come ti trovi nella facoltà attuale?
  • Perché l'hai scelta?
  • Che cos'è la *materia* per te?
  • Che corsi contraddistinguono la triennale?
  • Come sono le persone che studiano con te?
  • Quanto è difficile e quanto impegno richiede?
  • Che distinzioni ci sono tra i vari tipi di indirizzi e i tra i vari atenei?
  • Quanto è specifica la tua facoltà e che applicazioni ha?
  • Quali sono le possibilità dopo la triennale?
  • Che sbocchi lavorativi ha? È molto richiesta come laurea?
  • Quanto ti ha preparato bene il liceo?
  • A chi la consiglieresti e che cosa diresti a chi vuole studiare questa materia?
  • Ci spieghi un concetto che ti è piaciuto come esempio di cosa si studia effettivamente?
  • Pro e contro della tua università

Montaggio

Il montaggio è l’unica parte in cui avevo già discreta esperienza, ma si sta rivelando al contempo la più difficile. Questo progetto richiede un livello parecchio alto di dimestichezza con i programmi di montaggio (io uso Adobe Premiere Pro). Molte cose non sapevo farle e ho dovuto impararle cercando su internet e provando, come il montaggio in multi-cam per passare da una ripresa all’altra.

Per montare più velocemente i video e renderli allo stesso tempo facili da andare a riprendere se volessi realizzare dei video successivi in cui raccolgo testimonianze su un argomento, ho stabilito questo piano d’azione. Una volta messo insieme e ordinato il materiale grezzo sul computer, lo carico su Premiere e divido tutto in cartelle. Poi inizio una sequenza chiamato *MATERIA* YT e lì sincronizzo tutti gli ingressi audio e video (questa è la parte più noiosa). Poi procedo a visionare tutto il materiale a una velocità x2 e rimuovere tutte le parti che non sono di intervista o vanno buttate. Poi metto subito da parte la versione Youtube perché la priorità va a Instagram, quindi duplico il file e lo chiamo *MATERIA* scomposto, e in questa versione andrò a dividere tutte le clip secondo inerenza, e a raggrupparle in varie sottocategorie come “*Materia*”, “Studiare a *Città*”, “Consigli”. Questo comporta andare ad analizzare tutto il video (che a volte è più lungo di un’ora) pezzetto per pezzetto e spostare tutto, e richiede diverse ore. Poi inizio a ritagliare per bene le clip di ogni categoria, decidendo cosa è importante e cosa si può togliere, e cercando di costruire discorsi sensati. Solitamente faccio due o tre passaggi, ritagliando sempre di più, per regolarmi riguardo la lunghezza. Alla fine duplico la sequenza in *MATERIA* IG, riordinando le categorie secondo un ordine logico. Solitamente inizio con perché ha scelto l’università e cosa significa per lui quella materia, per passare alla descrizione del corso e dell’ateneo, della città e infine consigli su come scegliere. Qui nuovamente taglio e sistemo tutto finché il video non ha senso e dura intorno i 4/5 minuti.

Pubblicazione

Per la pubblicazione non sono ancora sicuro, probabilmente inizierà nel mese di Marzo, e verrà messo un video a settimana per due mesi quindi per quanto riguarda Instagram, mentre per Youtube non ho idea. Mi sta richiedendo molto tempo e con l'università che è ricominciata sto facendo fatica.

mercoledì 20 gennaio 2021

Scegliere l'università

Scegliere l'università

La mia storia e una breve guida pratica su come affrontare questa importante scelta 

La scelta dell'università è una decisione importante, presa a volte a cuor leggero, a volte imposta dalla famiglia. La scelta delle superiori da già dà una direzione alla persona che diventeremo, ma è l'università che in ultimo luogo decide cosa ne sarà di noi. Non solo il lavoro che faremo, ma chi conosceremo, dove vivremo, quale sarà il nostro stile di vita. Queste sono tutte conseguenze che scaturiscono, in maniere impreviste e imprevedibili, da una concatenazione di eventi che ha inizio con questa scelta. Ma non sentiatene il peso: nessuna scelta è sbagliata!

Questo articolo nasce dalle ricerche fatte in preparazione di una serie di video sull'orientamento universitario che sto producendo per Davincimeme. Mi sono reso conto di aver accumulato molto materiale che, integrato con la mia esperienza, poteva diventare un piccolo articolo per questo Blog. Inizio descrivendo la mia esperienza con la scuola, per seguire con consigli su come fare una scelta consapevole e felice.


lunedì 14 dicembre 2020

Vivere senza cellulare

Mi è capitato di stare 10 giorni senza cellulare.

È stato un contrattempo, ma ho anche forzato un po’ la mano. Ma partiamo dall’inizio.


La mia relazione con il cellulare è sempre stata difficile.

Ricordo già col mio primo modello, alle medie, come passavo i pomeriggi aspettando l’SMS dalla ragazza che mi piaceva. Poi crescendo, e con lo sviluppo della tecnologia, ne sono diventato sempre più dipendente, fino a vivere per un anno una relazione a distanza. Il cellulare era l'unico modo che avevo per sentire la mia ragazza, ed era la prima cosa che facevo la mattina e l’ultima la sera. Portavo il cellulare sempre con me, ovunque, quando non ce l’avevo mi saliva l’ansia. E se lei non mi rispondeva per mezz'ora mi preoccupavo. Ero terrorizzato all'idea di perdere la connessione, di rimanere solo. Ero completamente dipendente dal mio cellulare.

Mi permetteva di essere vicino a lei, e mi permetteva di fuggire da dove ero io.

Ho sempre un po’ voluto buttarlo via. Dopo la fine di questa relazione importante, non avevo più nessuna vera ragione per stare ore avanti al telefono, e mi sono finalmente deciso a iniziato a utilizzarlo meno, un po’ per volta. Con la quarantena, ho iniziato a lasciarlo a casa quando mi mettevo a leggere sull’amaca. All’inizio sentivo l’impulso forte di andarlo a prendere, e arrivare a stare 2 ore senza controllarlo per me era un traguardo.

 

Poi a Luglio ho fatto un viaggio importante, sono stato ospitato tre settimane in una fattoria in Germania con un programma di WWOOFing (potete trovare il video riassunto qui: https://youtu.be/xfAjh77Bxlo e la playlist con tutti i video integrali: https://www.youtube.com/playlist?list=PL6FaWgDdRqXDhwpNxAm5LX6W6Hgq_LuQc .

Il Wagen
Dormivo in un Wagen, una sorta di roulotte parcheggiata, dove non c'era connessione internet o rete cellulare. Durante la giornata lavoravo, e il cellulare lo utilizzavo solo per un ora la sera. Per le restanti 23 ore rimaneva spento, e dopo qualche giorno amici e parenti se ne sono fatti una ragione. Non ero raggiungibile in nessuna maniera se non a quell’ora: se qualcuno mi avesse cercato in altri orari, io non lo avrei nemmeno saputo. Per forza di cose mi sono dovuto adattare, durante il giorno ero sempre occupato e la sera leggevo, e alla fine sono riuscito a intravedere la vita per quella che è, senza filtri. Lì per la prima volta mi è venuto il dubbio che il cellulare non fosse necessario. Perché in fondo in fondo questa consapevolezza ce l'abbiamo sempre avuta tutti, ma riuscivo a far finta di niente finché non è stato indubitabilmente chiaro. 

Nel Settembre successivo ho avuto modo di fare un altro viaggio fantastico, questa volta alla scoperta della Sicilia (video non ancora disponibile). Tra le mille avventure ho conosciuto Josef, una persona eccezionale, che si auto-definisce ricercatore libero, che è diventato un amico e un maestro. Ho passato con lui tre giorni veramente assurdi, e tra una cosa e l’altra mi ha raccontato di una volta che è stato per un mese intero senza il cellulare. Ha detto che a stare senza, si impara davvero a vivere.

Il mio cellulare deve aver sentito che non tirava un'aria buona, perché dopo meno di un mese, una mattina, ha smesso di funzionare. Era il 1° Ottobre. La mia reazione è stata circa "oh no " mentre lo gettavo in fondo allo zaino, dove è rimasto per parecchio tempo.


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