LABASIANESIMO
Cos’è il Labasianesimo?
Il Labasianiesimo è una corrente di pensiero sviluppata tra
la fine del 2020 e l’inizio del 2021, in piena quarantena, da me e Giova chiusi
in un ufficio. È stata molto influenzata dalle nostre esperienze e inclinazioni
personali, dallo stoicismo (Seneca in particolare), dalla filosofia orientale, da
Dale Carnegie, Alan Watts e Kaczynski.
Come è iniziato?
Il covid aveva bloccato il mondo, io avevo lasciato l’appartamento
a Bologna per tornare a Castelbellino, ma quella casa mi stava stretta. Mi
ricordai presto che c’era un piccolo ufficio, accanto a quello di mio padre, che
non utilizzava nessuno: una sola stanza spaziosa con delle scrivanie al centro,
un divano e una piccola cucinetta a muro. Per tutta la quarantena, da novembre
2020 a febbraio 2021, quel posto fu la mia casa. La nostra casa in
realtà.
Il padre di Giova aveva un ufficio nell’edificio a fianco,
ci vedevamo dalla finestra. Anche lui ogni tanto andava a studiare là. Avrebbe
dovuto iniziare la magistrale in Germania ma era bloccato qua anche lui, per la
prima in anni eravamo nella stessa città.
Da allora, tutti i giorni dal lunedì al sabato, ci trovavamo
lì. C’era tutto quello che potesse mai servire: studiavamo lì, lavoravamo, ci
cucinavamo il pranzo e il sabato sera ci proiettavamo i film sul muro. E ogni
tanto alzavamo la testa, ci guardavamo e interrompevamo quello che stavamo
facendo per discutere del mondo e il resto, per delle ore. Il mondo stava attraversando
un momento terribile, ma per me è stato il periodo più bello della vita.
E in questa atmosfera stimolante, con il nostro continuo
scambio di idee e sperimentazioni, alla fine siamo arrivati a convergere su una
visione condivisa della vita, una serie di principi sul giuoco, come lo
chiamavamo, e su come giocarlo. L’abbiamo chiamato “Labasianesimo” perché
eravamo soliti chiamare l’ufficio “La Base”. Sono stati mesi di intense
riflessioni (e qualche breakdown mentale) riguardo come il tutto dovesse
funzionare e come utilizzare queste conoscenze per vivere meglio. Perché quando
uno ha capito il giuoco…
I principi
Proverò a spiegare di seguito il Labasianesimo attraverso
l’analisi dei suoi principi fondamentali, con un minimo di contesto e le loro
implementazioni pratiche, così come li abbiamo sviluppati durante quel periodo.
1) La rinuncia
L’estate precedente avevo fatto un viaggio
in Sicilia che mi aveva cambiato molto. Da solo con lo zaino, senza sapere
nemmeno dove avrei dormito. Un’avventura di questo tipo è per necessità
profondamente scomoda e stressante. Ma così intensa che una volta tornato, presi
tutte le singole cose che avevo trovato più scomode nel mio viaggio e, ad una
ad una, le integrai nella mia normalità, come preparazione al prossimo viaggio.
Rimossi tutto il non necessario e iniziai a fare le cose nel modo più scomodo
possibile, e col tempo non potei che notare come la scomodità scompariva.
Giova allo stesso modo era da sempre un grande rinunciatore: tutto il superfluo
è in eccesso. Una volta mi disse “Non compro un giubbetto invernale perché a
casa è caldo, in biblioteca dove studio è caldo, e la distanza sono solo 5
minuti”.
Iniziammo a implementare questi principi nella Base: la semplificazione, la
rimozione di tutto il possibile, l’abitudine alla scomodità. Mettevamo in
dubbio la necessità di ogni cosa, e se si poteva rendere più scomoda lo
facevamo.
A partire dalla cucina, dove tutto era organizzato perché il minor numero di
ingredienti fornisse la massima gamma di possibilità. Pulivamo sempre con i
metodi più arcaici, l’aspirapolvere era un lusso eccessivo. Entrambi iniziammo
a farci solo docce fredde, e ne riscontrammo forti miglioramenti nell’umore. Cominciammo
anche e soprattutto a fare a meno della tecnologia. Nel periodo più intenso di
sperimentazione, tenevo il cellulare spento per almeno 18 ore consecutive al
giorno e utilizzavo le candele per l’illuminazione notturna.
Abituandoci al minimo, tutto il resto risultava migliorato, per
comparazione. E personalmente ogni cosa che toglievo, mi sentivo più libero e
felice, di una felicità interiore e nuova. Molto di quello che facciamo in
generale può essere semplificato, per ottimizzare tempo e risorse limitate.
La comodità non è una di queste, più ne hai e più ne desideri, non ha un limite
e non si soddisfa. Il tempo, i soldi, l’attenzione invece sì: il cuore di
questo principio è scambiare queste ultime con la fatica e la scomodità, che
non si esauriscono e una volta abituativisi non vengono nemmeno più percepite. Da
allora la comodità non è più una variabile nelle mie decisioni.
2) La P non la metti nel sacco
Per non snaturare questo
principio sarò onesto: è nato parlando di ragazze. Giova era continuamente
preoccupato per qualche questione amorosa, e una volta gli dissi di
tranquillizzarsi, che tanto la P (sineddoche per le ragazze) non le poteva
mettere nel sacco. Non letteralmente.
Il sacco è inteso come bagaglio personale: quello che ti porti dietro quando la
vita va avanti. Pensare di riempire il sacco significa accumulare così tanto
oggi di una cosa che ne avrai da portartene dietro per il futuro. Significa cercare
di soddisfare un bisogno così a fondo da saziarlo per sempre. Ma non c’è una
quantità di ragazze oggi che ti faccia mettere il cuore in pace per il resto
della vita.
E il concetto si allarga a qualsiasi cosa. Non puoi mettere nemmeno la felicità
nel sacco, ad esempio. Non importa quanto sei felice oggi, o depresso, domani è
un giorno diverso: se c’è un sacco, dev’essere bucato. Questa sera il sacco si
svuota e domani si ricomincia da capo.
Pertanto, non serve correre: basta riempire il tuo sacco quel tanto che basta
per oggi, che il di più è sprecato. Non ha senso affannarsi per cercare di
risolvere oggi tutti i problemi del futuro, ci sono equilibri che non possono
essere sistemati una volta per tutte, ma necessitano di impegno quotidiano. E
una volta che limiti le tue preoccupazioni ad oggi, non sono mai così grandi
come sembravano. Dale Carnegie parlava di vivere in compartimenti stagni di 24
ore, e ad oggi è il consiglio più utile che ho mai ricevuto.
3) La vita è facile
In quel periodo passavo molto tempo con mia
nonna, la guardavo cucinare e le chiedevo consigli per imparare. Sotto le mie
domande incalzanti, presto mi resi conto che era un’arte molto meno precisa di
quanto credessi: le sue ricette erano piene di approssimazioni, movimenti
grossolani, procedure dogmatiche.
Giova aveva sempre detto di non
dedicarsi alla cucina perché secondo lui era una cosa così facile che avrebbe
potuto imparare in qualsiasi momento. Dovevamo a questo punto per forza mettere
questa teoria alla prova.
Abbiamo iniziato a cucinare ogni giorno, ricette sempre più complicate:
continuavano a venire sempre bene, non importava cosa sbagliassimo o quanto
tempo stesse sul fuoco. Un giorno esasperati ci siamo detti: “mettiamo insieme
gli ingredienti più strani che ci vengono in mente e vediamo se almeno così
viene male”. Risotto con carote, uova crude e formaggio: non c’era nessuna
possibilità che potesse essere mangiabile. Senza nemmeno seguire una ricetta,
perché non ne esistevano.
Ebbene: fu il risotto migliore che avessimo mai mangiato. Eravamo esterrefatti
ed euforici insieme per questa nuova scoperta.
Era stata bravura? Neanche lontanamente. A quanto pare, in cucina, una volta appresi
i concetti di base, la gran parte del lavoro l’hai già fatto. Il risultato
risulta come una gaussiana, con la ricetta giusta nella media: è incredibilmente
difficile finire in una coda.
Scoprimmo che questa medesima facilità è valida per molti altri ambiti, e
arrivammo in fine a dire che la vita stessa, fosse facile.
Per definizione qualcosa che devono saper fare tutti non può essere difficile,
la società si è sviluppata intorno a questo. Tutto quello che è necessario,
deve essere facile, e quello che è difficile non può essere necessario. Non è
un invito a non impegnarsi, ma una rassicurazione che quello che saremo tenuti
a fare, saremo in grado di farlo. Non c’è errore che non si corregga, o
problema che non si risolva. Basta guardare ai problemi con leggerezza per
vederli già sgonfiare. È una cosa che cerco di ricordarmi spesso, perché è
facile essere tratti in inganno. La vita è facile.
4) Non confrontare
Questo principio del Labasianesimo lo
dobbiamo esclusivamente a Giova, che in quel periodo stava leggendo Alan Watts
e non si tratteneva dal citarlo infinite volte al giorno. Non ho ancora letto il
libro così importante per il nostro pensiero, per cui sarò necessariamente
breve. Sembra che giri intorno al concetto ricorrente di non confrontare:
non confrontare te stesso con gli altri, non confrontare quello che hai con
quello che potresti avere, non confrontare la realtà con scenari immaginari. Concentrati
solo sul qui e ora e non guardare altrove. E in questo modo sarai sempre
sereno.
5) La vita come una partita a scacchi
Durante il periodo della base abbiamo iniziato a giocare a scacchi (come tutto
il mondo) dopo aver visto The Queen’s Gambit. Leggevamo un libro di teoria
scacchistica e giocavamo quasi ogni giorno.
È durato alcuni mesi, poi non li abbiamo più toccati. Ma quello che ci è
rimasto è un principio della teoria elementare degli scacchi, come riportato
dal libro su cui studiavamo: non devi avere tutta la strategia in mente
all’inizio della partita, fai semplicemente le mosse che ti aprono più possibilità
e le tattiche si mostreranno a te da sole.
Ecco, penso che la vita anche debba essere vissuta così: senza cercare di
sapere dove saremo tra 10 anni, perché non è il momento giusto per deciderlo
(se mai si può dire di deciderlo), ma piuttosto concentrandosi nell’aprire il
maggior numero di strade possibili oggi. Richiama in parte il principio 2,
invita a focalizzarsi su quello che possiamo cambiare adesso e a lasciare
andare la falsa speranza di controllare il futuro.
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